“Cercastelle” condividono idee in Eleva, Valpolicella

“Cercastelle” condividono idee in Eleva, Valpolicella

Da sinistra: Marco Sartori, Mattia Vezzola, Davide Gaeta, Maurizio Ugliano

E’ il nome di un nuovo vino, è l’idea di attrarre i “cercatori di stelle” come noi, quelli mai sazi della ricerca delle “proprie personali e ideali” stelle del firmamento dei buoni vini, è la voglia di aprire la cantina al pubblico e agli amici produttori, ricercatori, giornalisti, comunicatori, venditori.

E’ una serata per mettere insieme tutti questi elementi, cominciando con le donne e gli uomini che - soprattutto - muovono le idee, accudiscono vigne preziose e propongono messaggi e visioni “sotto vetro”, con umiltà e semplicità, sempre sorridendo in faccia alle molte asperità della vita e alle sfide difficili.

“Cercastelle” è il nome del nuovo vino dell’azienda Eleva (Sant’Ambrogio di Valpolicella, Verona), un IGT che nasce da un blend di uve Merlot e Oseleta coltivate sulla collina che domina il paese e un panorama ampio sulla pianura. La sua presentazione alla stampa di settore, tenutasi in questi giorni, è stata l’occasione per un appassionato confronto sul ruolo delle DOC e delle IGT e per la degustazione dei vini a DOC Valpolicella Superiore DOC 2016 dell’azienda Roccolo Grassi (Mezzane di Sotto, VR) e Maim Valtenesi DOC 2017 di Costaripa (Moniga del Garda, BS). Ospiti della serata erano infatti i produttori Marco Sartori (Roccolo Grassi) e Mattia Vezzola (Costaripa), che insieme al prof. Maurizio Ugliano, docente di enologia presso l’Università di Verona, hanno discusso di uve, stili produttivi e territorio. I padroni di casa erano i titolari di Eleva, l’enologa Raffaella Veroli e il prof. Davide Gaeta, con il Cercastelle IGT Veronese 2019.

“Cercastelle non è solo il nome di un vino - ha esordito il prof. Davide Gaeta, docente di Economia all’Università di Verona - E’ una filosofia produttiva, un concetto di qualità che ci ha portati a cercare di fare un vino che diventasse un punto di riferimento del territorio anche nell’universo dei vini a indicazione geografica”.

Ma come si concilia questo tipo di scelta con l’adesione ai valori del posto espressi invece nella denominazione d’origine?

“Quando negli anni Novanta iniziai a fare vino, scelsi di lavorare all’interno della denominazione d’origine del Valpolicella - ha raccontato Marco Sartori - In quegli anni iniziava il successo dell’Amarone, ma il mio vino del cuore, la mia stella, era il Valpolicella: volevo renderlo grande, perciò gli dedicai un vigneto distinto da quello dell’Amarone. Vini a indicazione geografica e vini a denominazione d’origine possono coesistere sullo stesso territorio, ma esprimono cose diverse. La denominazione d’origine è un patrimonio collettivo, l’indicazione geografica è qualcosa di più aziendale”.

Fermo sostenitore delle denominazioni anche Mattia Vezzola:

“Un grande vino è un vino che il mondo considera tale, capace di vivere a lungo mantenendo sempre la propria identità. Se non si da valore all’interno della denominazione, poi non si riesce a trasmetterlo anche al mercato”.

Alla fine, ognuno di noi ha una sua idea di “grande vino”: ma non è detto che debba sempre coincidere con quella di vino importante, strutturato, capace di invecchiare a lungo. Anche il vitigno più umile, capace però di esprimere al meglio le sue caratteristiche nell’ambito di un certo territorio, ha una sua grandezza.

Allo stesso modo, anche un vino a indicazione geografica può rivelarsi rappresentativo di un’azienda:

“Le 18 terrazze realizzate da Franca Maculan e lasciateci in lascito ospitano uve locali e internazionali - ha detto Gaeta - Noi volevamo fare un blend fuori dalla DOC Valpolicella che esprimesse quello che avevamo. Dopo vari tentativi abbiamo scelto le uve di due terrazze, una di merlot e una di oseleta. Due vitigni l’uno opposto dell’altro, per caratteri agronomici ed enologici. Ci sono voluti 9 anni per arrivare a questo vino. Ora finalmente sentiamo che ci rappresenta”.

Il prof. Maurizio Ugliano propone una sintesi:

Forse con l’IGP vogliamo esprimere aspetti dell’identità, di una certa idea e visione più aperta e libera. Perché la DOC svolga bene il proprio ruolo e missione occorrerebbe uno sforzo maggiore nel descrivere e classificare gli elementi dell’identità dei prodotti.

In memoria di Giuseppe Benanti

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Bianchi freschi e bianchi evoluti, divertimento assicurato

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