Aristide, il wine blog di Giampiero Nadali

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Attilio Scienza: "Il meticcio ci salverà o meglio salverà la viticoltura"

Voglio tornare sull’intervento del prof. Attilio Scienza al seminario scientifico (qui il mio post) tenutosi durante la scorsa Rassegna dei Vini PIWI - acronimo in lingua tedesca che sta per PilzWiderstandsfähig (resistente ai funghi) - organizzata dalla Fondazione Edmund Mach, l’illustre istituzione vitivinicola trentina che ha sede a S.Michele all’Adige, ha segnato probabilmente un momento storico che aprirà scenari completamente nuovi per il vino italiano.

Le varietà di vitigni denominati "PIWI" sono ormai una realtà di fatto. In Italia sono anche note come varietà interspecifiche. Già su questo blog ne parlai nel lontanissimo 2009 - Vade retro fungo: parliamo di PIWI, o viti "interspecifiche" - e da allora tanta strada ed esperienze si sono accumulate tra le mani di scienziati e produttori.

Attilio Scienza, dell'Università di Milano, insieme a Fulvio Mattivi, professore dell'Università di Trento, e Luigi Moio, presidente dell'Organizzazione internazionale della vite e del vino, ha dedicato un intervento di apertura intitolato "Il meticcio ci salverà o meglio salverà la viticoltura".

Argomento forte: in ampelografia nuove scoperte guidano ad un ripensamento della presunta “purezza” della vite europea nei confronti di quella americana. Una recente ricerca sull’origine del genere Vitis propone infatti il centro di partenza della diffusione di questo genere proprio nel Nuovo Mondo, da cui quindi le specie sarebbero migrate durante il tardo Eocene (circa 40 milioni di anni fa) in Eurasia. Con questo diverso punto di vista, si potrà forse concludere che non ci sono viti di serie A, i vitigni europei, e viti di serie B, le specie americane.

La questione è di straordinario interesse, a mio parere, perché riscrive decenni di storia e di scelte vitivinicole fatte in Italia e in Europa, e apre nuovi scenari nel contesto di una sempre più necessaria e autentica “sostenibilità” nelle produzioni italiane.

Considerando che a brevissimo i PIWI potranno essere utilizzati nei vini a denominazione di origine in Europa (dopo il recepimento da parte dell’Italia delle modifiche al Regolamento Europeo e, successivamente da parte delle Regioni), ecco in sintesi due le linee di azione da sviluppare:

  1. incrementare i resistenti di vitigni autoctoni, oltre i tre disponibili oggi (Nosiola, Teroldego e Tocai). A breve arriverà la Glera, ma mancano ancora una miriade di varietà autoctone;

  2. sperimentare i vitigni PIWI in numerosi e diversi ambienti pedoclimatici, perché le loro performance variano molto per territorio (un esempio? Il Solaris allevato in montagna o alta collina) e servono strumenti e conoscenze per valorizzare non tanto il nome di questi vitigni, ma soprattuto quello del territorio.

Un approfondimento indispensabile da leggere è questo di Clementina Palese, per WineNews.it, la quale ha realizzato questa intervista al prof. Scienza:
Ue, via libera ai “vitigni resistenti” nei vini a Denominazione. Una svolta epocale per il settore - Ma in Italia il percorso è ancora lungo. A WineNews il professor Attilio Scienza (Comitato Nazionale Vini) ed Eugenio Sartori (Vivai Rauscedo)”.


AGGIORNAMENTO:
Un ‘altro imperdibile approfondimento lo trovate pubblicato da Vinix con questo post di Alessandra Biondi Bartolini, giornalista e direttore scientifico di Millevigne: “Il riscatto delle varietà resistenti, tra storia, scienza e concorsi”, la quale si sofferma con maggiori dettagli sui vitigni PIWI.